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Scarponi 81 : Mar Piccolo primo seno , fiume Galeso , Taranto Vecchia

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路线统计数据

距离
20.84 公里
累积高度
180 米
技术难度
中等
海拔下降
185 米
最高海拔
29 米
TrailRank 
68
最低海拔
0 米
路线类型
单程
移动时间
5小时 13分钟
时间
6小时 28分钟
坐标
3540
上传日期
2022年12月12日
记录日期
十二月 2022

邻近 Ruberto, Puglia (Italia)

浏览次数: 565次 , 下载次数: 10次

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行程描述

Sorvolando dall’alto la città di Taranto, il Mar Piccolo appare come un otto rovesciato, il simbolo dell’infinito. Non a caso, nonostante il feroce inquinamento ambientale perpetuato per decenni e che continua ancora a gravare sul mare e su tutto il territorio circostante, il piccolo mare interno racchiude ancora un patrimonio naturalistico unico nel suo genere.
Il Mar Piccolo è una laguna costiera che si estende per poco più di 20 km², a nord della città di Taranto. È suddiviso in due seni di forma ellittica, il primo in comunicazione con il Mar Grande attraverso due varchi, il canale navigabile e il canale di Porta Napoli, e il secondo poco più grande e più interno. Nel bacino sfociano brevi corsi d’acqua costeggiati da preziosi ambienti umidi, come il fiume Galeso decantato da Orazio e Marziale, e rifugio di numerose specie di uccelli acquatici.
Da depressioni imbutiformi dei fondali di entrambi i seni, inoltre, sgorgano sorgenti sottomarine di fredda acqua ipogea, chiamate localmente citri, in greco caldaie ribollenti. Le sorgenti oltre ad assumere un ruolo fondamentale nel regolare la temperatura delle acque dell’intero bacino, influenzano anche la salinità, che è di poco inferiore a quella del mare aperto. L’abbondanza di sali di azoto e fosforo apportati dai corsi d’acqua, la bassa profondità e il ridotto idrodinamismo, rappresentano alcune delle peculiarità che rendono il Mar Piccolo un ambiente particolarmente produttivo in grado di sostenere considerevoli masse biologiche, dai microscopici organismi planctonici alla base delle reti alimentari marine, fino ai grandi predatori.
Proprio la pescosità delle sue acque rese il piccolo mare, il cuore della città di Taranto fin dalla leggendaria fondazione ad opera di Taras, figlio di Poseidone, giunto dal mare a cavallo di un delfino. In realtà, la Regina dei Due Mari fu fondata da coloni spartani guidati da Falanto circa 700 anni prima di Cristo. Durante il lento scorrere della storia, Taranto visse splendori e miserie, invasioni, sconfitte, decadenze e riprese, ma è sempre esistito un forte legame tra la città e il suo bacino interno, porto naturale riparato dai forti venti dello scirocco e del libeccio, e preziosa fonte di pesce e frutti di mare. Il Mar Piccolo rappresentò anche la sede di fruttuose attività legate all’estrazione del pigmento della porpora dai murici, e alla filatura del bisso, la cosiddetta lanapinna, prelevato dalla grande pinna nobile e utilizzato per tessere stoffe pregiate.
Dal Medioevo in poi, il Mar Piccolo venne lottizzato in piscarie, aree di pesca ad uso esclusivo del proprietario, distinte l’una dall’altra e concepite alla stessa stregua dei fondi agricoli. In ogni area venivano pescati con un gran numero di attrezzi differenti ideati all’occorrenza, calamari, seppie, gamberetti, cefali, orate, spigole, triglie, anguille, e raccolte molte specie diverse di frutti di mare.
Nelle epoche successive, le ricchezze naturali del Mar Piccolo sono state più volte tutelate e valorizzate come nel famoso Libro Rosso dei Principi di Taranto (XVI secolo). I reggenti illuminati già tutelavano le rigogliose praterie di piante marine e già conoscevano il danno prodotto da alcuni attrezzi di pesca e dal veleno del tasso, che proibivano in modo categorico. Anche in seguito, nel XVIII secolo, il Regolamento del Codronchi disciplinò severamente le attività di pesca, indicando per ognuna la gabella corrispondente da pagare per poter aver il diritto di effettuarla. Le tasse variavano anche in relazione al tipo di attrezzo utilizzato e alla specie di pesce pescato.
Con il susseguirsi dei secoli all’affettuosa premura dei Principi di Taranto si è sostituito dapprima lo sfruttamento massiccio ma mal gestito del Mar Piccolo divenuto la sede storica della mitilicoltura e dell’ostricoltura nazionale e, in seguito, il grave oltraggio ambientale perpetuato dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri .
Il dramma ambientale di Taranto e dei suoi mari, iniziò nel lontano 1889 quando fu inaugurato l’Arsenale Militare costruito sulla sponda meridionale del primo seno del Mar Piccolo, al posto di una parte della necropoli greco-romana e di preziose ville settecentesche. All’Arsenale Militare seguì la costruzione della Stazione Torpedinieri, dell’Idroscalo sul secondo seno, dei Cantieri Navali, della polveriera di Buffoluto, destinando il Mar Piccolo a divenire una sede strategica dell’industria bellica nazionale, senza tenere in nessuna considerazione le grandi ricchezze naturali e il valore vitale del bacino per la città di Taranto. Oltre ad aver completamente stravolto l’assetto costiero del mare interno con moli, banchine, tombamenti e bacini di carenaggio, queste opere scellerate hanno implicato la cementificazione di chilometri e chilometri di sponde con la conseguente totale distruzione del fragile ecosistema mesolitorale, al confine tra la terra e il mare. Ma l’enorme impatto ambientale non si è limitato all’alterazione irreversibile del paesaggio costiero e alla modificazione dei flussi idrodinamici. Alle attività dell’Arsenale Militare e dei Cantieri Navali è imputato in parte il grave inquinamento dei sedimenti marini del primo seno, contaminati da concentrazioni elevatissime di PCB (Poli Cloro Bifenili), ben al di sopra dei limiti di intervento, da metalli pesanti (mercurio, arsenico, cadmio, piombo, rame e zinco) e da altri pericolosi inquinanti come i composti organostannici utilizzati nelle vernici antifouling.
La violenza inflitta sui mari di Taranto, sulla città e su tutto il territorio circostante raggiunse l'apice con la costruzione dell’Italsider che sancì l’inizio della catastrofe ambientale. Dal 1965, anno in cui l’industria fu inaugurata, ogni comparto dell’ecosfera, dall’aria all’acqua, dalla terra a tutti gli esseri viventi è stato gradualmente contaminato da una lunga serie di inquinanti cancerogeni, come le temutissime diossine. Anche il Mar Piccolo ha subito direttamente o indirettamente l’impatto prodotto dalla vicina area industriale che negli anni si è sempre più ampliata e ha visto sorgere, tra l’altro, il cementificio e la grande raffineria dell’Eni.
La contaminazione del bacino è avvenuta attraverso la ricaduta degli inquinanti adsorbiti a polveri sottili e precipitati dal cielo (fall out), il dilavamento di suoli contaminati (run off), l’apporto degli inquinanti attraverso i corsi d’acqua. Inoltre, l’Idrovora dell’ILVA sulla sponda nord-occidentale del primo seno, ha stravolto le correnti del Mar Piccolo e ha provocato un aumento della salinità richiamando un’enorme quantità d’acqua salata dal Mar Grande (fino a 4 milioni di metri cubi al giorno!) e di inquinanti provenienti dalla zona portuale e dagli scarichi industriali. Recenti studi effettuati dal Politecnico di Bari, hanno dimostrato che bastano soltanto 15 giorni perché le acque inquinate della zona antistante gli scarichi dell’ILVA giungano nel primo seno, contaminandolo con altre sostanze tossiche, come gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici).
L’impatto delle attività industriali sul Mar Piccolo è avvenuto anche in modo indiretto per mezzo dei citri, le sorgenti sottomarine che apportano acque ipogee. Il percolato proveniente da una gigantesca discarica di scarti di lavorazione industriale e di sostanze tossiche, ha col tempo raggiunto e contaminato la falda che alimenta le sorgenti, contribuendo all’inquinamento continuo e generalizzato.
Tutto ciò ha prodotto danni gravissimi alla secolare mitilicoltura tarantina soprattutto nel primo seno del Mar Piccolo, un ambiente così contaminato che i mitili posti in allevamento accumulano sostanze altamente cancerogene come diossine e PCB (Poli Cloro Bifenili) in concentrazioni tali da vietarne il consumo alimentare. Tonnellate e tonnellate di mitili sono stati negli ultimi anni etichettati come rifiuti speciali e smaltiti in inceneritore che con le sue emissioni contribuisce ad avvelenare l’ambiente.
In confronto, gli scarichi civili di ben otto comuni del circondario (e potrebbero anche aumentare!) che sfociano attraverso il Canale d’Aiedda nel secondo seno sembrano un’inezia. Producono, in realtà, un rilevante arricchimento organico della porzione più interna del Mar Piccolo. Il surplus di materia organica combinato ad alte concentrazioni di nitrati e fosfati lisciviati dalle circostanti terre coltivate, innesca soprattutto nei mesi estivi, impressionanti fioriture algali che destabilizzano il delicato sistema marino e provocano nei casi peggiori gravi crisi anossiche caratterizzate da diffuse morie di massa.


Il patrimonio sommerso del Mar Piccolo


Un quadro del genere indurrebbe chiunque a supporre che il Mar Piccolo sia ormai ridotto a un deserto abiotico, un mare privo di ogni forma di vita vegetale o animale. Questo è quello di cui sono convinti molti tarantini che considerano il piccolo mare un posto degradato, altamente inquinato, da evitare. Non sanno però che celato sotto le acque calme del bacino, esiste un tesoro di inestimabile valore naturalistico e dalle caratteristiche uniche.
L’elevata biodiversità del Mar Piccolo, ovvero il numero complessivo di specie diverse che costituiscono la comunità sottomarina, è sicuramente la qualità più sorprendente che cozza fortemente con l’alto grado di inquinamento ambientale. Gli organismi colonizzano sia i substrati naturali (sedimenti sabbiosi e siltosi vicino le coste, fangosi più in profondità), sia i substrati artificiali.
Proprio questi ultimi sono stati trasformati dalla Natura in isole colorate, ricche di vita rigogliosa. Caotici assembramenti di invertebrati filtratori avvolgono completamente i pali dei vecchi impianti di mitilicoltura tramutandoli in poderose colonne viventi. Lo spessore dei pali, in genere di 8 cm, viene più che triplicato dagli strati di organismi che si insediano al di sopra. Una volta terminato lo spazio disponibile, gli animali sessili continuano a crescere gli uni sugli altri, e quelli dall’accrescimento più rapido soffocano i più lenti. Lo spazio, infatti, rappresenta l’unico fattore limitante, dato che il cibo non manca. Spugne, policheti sedentari, bivalvi, cirripedi, briozoi, ascidie e gigli di mare si alimentano filtrando di continuo l’acqua del mare e trattenendo all’interno del loro corpo minuscole particelle organiche. E tra i filtratori vivono altrettanti animali, tra cui gasteropodi con e senza conchiglia, granchi, paguri, stelle marine, bavose, pesci ago e cavallucci marini. Tutti questi organismi rendono la comunità che ne deriva estremamente varia, difficile da descrivere in ogni sua parte. Difficili da individuare sono anche le molteplici interazioni tra gli organismi, dalle relazioni trofiche, chi mangia chi, alle simbiosi, alle modalità con cui vengono edificate alcune importanti biocostruzioni che a loro volta incrementano l’eterogeneità dell’ambiente.
Nel mare interno è presente anche un cospicuo contingente di specie non comuni negli altri mari del Mediterraneo, divenute rare in seguito a impatti antropici o considerate tali da sempre, alcune di queste protette dalla legislazione vigente: dalla bavosa dalmatina (Microlipophrys dalmatinus) abbondantemente presente in entrambi i seni al nudibranco Thecacera pennigera, dalle due specie di Ippocampo (Hippocampus guttulatus, H. hippocampus) alla grande spugna Geodia cydonium, dal pesce ago di Rio (Syngnathus abaster) al paguro Paguristes streaensis battezzato nel 1984 dal Dr. Michele Pastore, all’epoca direttore del Talassografico di Taranto.
A dispetto dell’inquinamento, il Mar Piccolo è un mare in cui avviene ancora il processo evolutivo della speciazione, ovvero nascono e si evolvono nuove specie da quelle preesistenti. L’ultima descritta nel 2012 da ricercatori dell’Università di Venezia e di Bari, è una coloratissima ascidia coloniale, Botrylloides pizoni, una nuova componente della ricca comunità sessile che incrosta i pali e gli altri substrati artificiali. Il Mar Piccolo, quindi, non è un mare dove la vita si estingue per il feroce inquinamento ambientale. Qui, anzi, nascono nuovi organismi che fino a poco tempo fa non esistevano. Ciò testimonia ancor più l’importanza di questo bacino, il mare più piccolo d’Italia.
Chi si immerge per la prima volta nel mare interno tarantino avverte un senso di disorientamento perché oltre alla grande abbondanza e ricchezza di forme di vita, osserva animali strani, mai visti prima. Si tratta delle molte specie aliene giunte nel Mar Piccolo da ogni angolo del pianeta trasportate nelle acque di zavorra o incrostate sugli scafi delle innumerevoli navi che solcano i mari di Taranto, o ancora introdotte con gli animali da allevare in acquacoltura. Ascidie peruviane (Polyandrocarpa zorritensis) ricoprono rapidamente corde e altri manufatti, colorati vermi tropicali (Branchiomma luctuosum) competono per lo spazio con gli spirografi nostrani, spugne calcaree brasiliane (Paraleucilla magna) crescono al posto degli organismi indigeni. E nudibranchi bitorzoluti (Melibe viridis) provenienti dal Mar Rosso, minuscoli mitili asiatici (Arcuatula senhousia), ascidie a pois (Distaplia bermudensis) originarie delle Isole Bermuda. Tutti questi organismi convivono forzatamente con quelli autoctoni, mostrando in alcuni casi carattere invasivo e destando non poche preoccupazioni.
Di notevole importanza naturalistica sono le segnalazioni nel Mar Piccolo di grandi animali pelagici, che penetrano nel bacino dal Mar Grande, probabilmente in cerca di cibo. Si tratta della tartaruga Caretta caretta che insegue fin dentro il secondo seno gli sciami di meduse spinte dalle correnti, e dello squalo elefante (Cetorhinus maximus). Gli emozionanti avvistamenti inducono a riflettere sullo splendore del Mar Piccolo, mare tanto oltraggiato dall’uomo quanto premiato dalla Natura.

Rossella Baldacconi
PhD in Scienze Ambientali
Fonte :http://www.tarantonatura.it

Taranto città vecchia: storia, impressioni, vicoli e pescatori
Taranto Vecchia è un’isola. Una di quelle che c’è, che esiste senza bisogno di Peter Pan.
Per raggiungerla è sufficiente attraversare il Ponte Girevole o il Ponte Punta Penna, perciò mettete in garage il vascello da pirata e conservate la polvere magica per altre occasioni.

Avete capito bene. La zona più antica di Taranto è concentrata su un’isola che trasuda storia da ogni pietra. Non sono sicura di quel che sto per scrivere, ma credo che Taranto sia l’unica città al mondo (insieme a Siracusa, forse) in cui parte antica e nuova siano separate non solo storicamente ma anche geograficamente. Insomma, confondersi fra le due è praticamente impossibile.
Forse è proprio questa “separazione fisica” a rendere Taranto Vecchia un posto speciale. Quando percorro le sue strade, ho sempre l’impressione di trovarmi immersa in un mondo a parte, in un’atmosfera tutta diversa, per nulla simile a quella che ferve altrove.
E’ come se a Taranto Vecchia non splenda lo stesso sole che brilla per gli altri luoghi tarantini. Sembra un altro sole, creato apposta per illuminare quei tetti, quelle strade, quei volti.

Passeggiando fra le viscere dell’isola, ci si accorge di quanto sia facile passare da uno scorcio mozzafiato ad un altro: il mare a strapiombo dalla ringhiera di Corso Vittorio Emanuele II, il tripudio architettonico di chiese e palazzi d’epoca, il fascino antico delle colonne del Tempio di Poseidone.

E poi il tocco finale, così normale e quotidiano, dei balconcini delle case, da cui pendono lenzuola e capi di biancheria variopinta.

Si va avanti così, di stupore in stupore, senza averne mai abbastanza, senza che gli occhi si abituino a una simile suggestione. Eppure, in mezzo allo splendore, sbucano tratti di strade abbandonate, zone interdette, case disabitate che hanno il sapore di un’occasione sprecata, di una trascuratezza ingiusta.

Stradine tortuose e cunicoli senza sole si intervallano a palazzi vecchi, sbarrati, addormentati. Osservandone le crepe, qualcuno scorge il fascino di un passato importante, altri l’amarezza per un futuro ancora solo probabile.
Ma qualcosa sta cambiando…c’è nell’aria l’odore del cambiamento, della rinascita. Così, a poco a poco, sono sorti in città vecchia pub frequentatissimi, lounge bar alla moda, caffetterie assortite, ristoranti tipici, alberghi caratteristici e persino l’Università.

Questi luoghi hanno contribuito a vivacizzare le strade della città vecchia, a riempirle di turisti e di cittadini che vogliono riappropriarsi della loro isola, conquistarla, farla bella e sentirsi a casa anche oltre il Ponte Girevole.

Giulio Carlo Argan, uno dei più grandi critici d’arte italiani, restò folgorato da Taranto Vecchia. Giunto in città nei primi anni ‘70, esclamò:
Come dicevo, Taranto Vecchia è organizzata in vicoli stretti e angusti. Alcuni sono talmente stretti che restano senza sole tutti i giorni dell’anno.

Pensate che una delle viuzze è stata ribattezzata “Vicolo del Bacio”, proprio perché le persone che vi passano attraverso sono costrette a sfiorarsi.
Vi siete mai chiesti perché siano stati costruiti così?
Dopo il 927, quando i Saraceni causarono la totale distruzione della Taranto greco-romana, si rese necessario ricostruire la città tenendo conto di questa tragica esperienza.

L’Imperatore bizantino Niceforo Foca, che è considerato il secondo fondatore di Taranto dopo Taras, si interessò alla faccenda su pressione dei superstiti alla strage, e fece arrivare architetti dalla Grecia perché la ricostruissero.

Il fatto che sorgesse su un’isola creava già buone opportunità difensive, ma non era sufficiente. La nuova struttura urbanistica di Taranto doveva consentire di proteggere la popolazione dagli sbarchi di nuovi invasori, perciò le sue strade vennero rese strettissime in modo che non potesse passarvi più di una persona per volta.

Molti di questi architetti non tornarono nella terra natia perché non seppero resistere – comprensibilmente – al fascino delle donne tarantine, e ad esse si unirono in matrimonio. Tra le stradine della città vecchia si iniziò a parlare una lingua mista, tanto che ancora oggi nel linguaggio dialettale è rimasta qualche traccia di vocaboli di provenienza greca: babbione, citro, paturnia, vastàse, rummàte, vummìle…

Niceforo dotò Taranto di acquedotti e salde mura; rese inoltre più bassa la costa lungo il Mar Piccolo per consentire ai pescatori di praticare facilmente la loro attività.
Nonostante la devastazione cui fu sottoposta, Taranto ritornò così a dominare il suo mare, da cui aveva tratto sin dall’inizio forza e ricchezza.
Nel 1746, l’attuale Taranto vecchia costituiva il 100% della città e tutta la popolazione era raccolta sull’isola.
Qui convissero per secoli pescatori e patrizi, modesti artigiani e monsignori.

La città vecchia era inoltre circondata interamente da una massiccia cinta muraria. Questo determinò col tempo un sovraffollamento fastidioso, che si fece più acuto con la creazione dell’Arsenale della Marina Militare.

All’epoca della grande industrializzazione, la situazione migliorò perché la popolazione tarantina – prima dedita solo alla pesca – venne progressivamente assorbita in questo nuovo settore, il che non rendeva necessaria la sua residenza sull’isola.

L’esodo si è fatto sempre più consistente con l’andare del tempo, tanto che oggi molte delle case della città vecchia sono disabitate. Alcune strutture, erette in luoghi strategici ma fatiscenti, aspettano di essere restaurate, di essere riportate alla loro antica, palpitante, unica bellezza.
Fonte : http://www.tarantomagna.it/

TARANTO – La foce del Galeso è uno dei luoghi del cuore di tanti tarantini. Probabilmente i più giovani conoscono a malapena il nome di questo fiume, ma per chi ha una memoria più lunga vi sarà certamente il ricordo di qualche gita domenicale o di qualche picnic fatto sulle sponde del piccolo fiume dal brevissimo corso che versa le sue acque nel Mar Piccolo.
Il Galeso, infatti, percorre meno di un chilometro dalla sorgente, che forma un piccolo laghetto con una portata di circa 4.000 litri al secondo, fino alla foce. Insieme ai citri e all’altro fiume Cervaro, il Galeso versa acque dolci nel Mar Piccolo, contribuendo ad abbassare significativamente la salinità di questo mare interno e favorendo il ricambio delle sue acque che assumono cosi caratteristiche peculiari e differenti da quelle del Mar Ionio.

Caratteristiche, tra l’altro, che rendevano il Mar Piccolo luogo ideale per la coltivazione dei mitili, almeno fino a quando attività cantieristiche e industriali hanno purtroppo provocato aumenti significativi di alcuni inquinanti (diossine, PCB, IPA, benzo(a)pirene, metalli pesanti) tali da rendere addirittura vietato l’intero ciclo biologico di allevamento dei molluschi eduli nel primo seno.
Degrado ambientale da inquinamento va di pari passo col degrado dello stato dei luoghi prossimi alla foce del Galeso. Attualmente, il fiume è raggiungibile da una strada polverosa e invasa lateralmente da rifiuti e sterpaglie. Baracche, probabilmente abusive (almeno potrebbero essere costruite con materiali meno impattanti visivamente), terreni recintati e coltivati a ortaggi, rimessaggio senza regole di barche lungo il fiume hanno reso questo luogo, una volta magico e pieno di fascino, terra di nessuno, in cui ognuno può stravolgere liberamente l’aspetto naturalistico che lo ha caratterizzato per secoli.

Il rischio incendi, che già più volte si sono sviluppati nei dintorni della foce, è sempre presente, considerando lo stato di abbandono del bosco di eucalipti invaso da sterpaglie e foglie secche, facile innesco per piromani senza scrupoli. Un posto che meriterebbe più rispetto e cura da parte delle amministrazioni comunali, considerando il valore affettivo e naturalistico che esso rappresenta per i tarantini.
Ma d’altronde, le vecchie gru arrugginite degli ormai chiusi cantieri navali che fanno da sfondo alla foce del Galeso, sono la testimonianza evidente dell’abbandono del luogo ormai da decenni. Nessuna cura per gli alberi, per le sponde del Galeso, per le rive del Mar Piccolo. Taranto, o meglio chi la amministra, ha dimenticato di curare questo piccolo gioiello che potrebbe divenire una vera e propria area protetta a due passi dalla città.
Fonte :www.inchiostroverde.it

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评论  (2)

  • cristina majorano 2022年12月25日

    Ciao, mi sembra un bel percorso, per una ragazza da sola e' ok? Grazie!!

  • 的照片 Francesco Di Giorgio 1
    Francesco Di Giorgio 1 2022年12月26日

    Diciamo che non è proprio adatto per una ragazza da sola

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