Podkraj - Logatec
邻近 Podkraj, Ajdovščina (Slovenija)
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Hrušica, Castrum 'Ad Pirum' (Grusizza Piro) sulla Via Gemina
AD PIRUM una camminata nella storia romana del quarto secolo d.c. Ai tempi dell' Impero romano nella Valle del Vipacco, tra Grusizza Piro (Hrušica) e Aidussina, si combattè una battaglia tra l'imperatore cristiano d'oriente Teodosio e Flavio Eugenio, imperatore pagano d'occidente. La battaglia, detta del Frigido (fiume Vipacco), fu decisiva per le sorti dell'Impero Romano e della cristianità. L'esercito di Teodosio raggiunse Ad Pirum, la fortezza romana posta lungo il percorso della Via Gemina che univa Aquileia a Aemona (Lubiana) passando per il valico di Piro. Gli scavi archeologici hanno rinvenuto un struttura lunga 250 m e larga 75 m, che aveva mura alte 8 metri e spesse 2; le torri erano alte circa 10 m. Tale struttura era la più imponente fortificazione del sistema difensivo della Claustra Alpium Iuliarum, creata per proteggere la penisola italiana dalle invasioni orientali. Governata da 500 militari, in tempo di guerra poteva ospitare fino a 10.000 soldati. In due giorni, il 5 e il 6 settembre 394 d.c., l’imperatore Teodosio, alla testa dell’esercito romanoorientale, sconfisse le forze dell’Impero d’Occidente, guidate dall’imperatore Flavio Eugenio e dal suo generale Arbogaste. Per l’ultima volta un esercito romano si batté sotto le insegne di Giove e fu vinto. Da allora si può dire che sia stata decretata la fine del paganesimo. L’importanza dello scontro dal punto di vista politico - religioso portò ad una interpretazione dei fatti secondo una visione provvidenzialistica: “Dio volle la vittoria dei cristiani e li sottrasse alla disfatta scatenando una tormenta di bora contro i soldati pagani”, ma questa interpretazione non aiuta a capire le scelte tattiche di Teodosio. Bisogna andare qualche anno indietro per capire i fatti del 394 d.c.: dopo la disastrosa disfatta di Adrianopoli, nella quale i Romani furono sconfitti dai Goti, e la caduta dello stesso imperatore d'oriente Valente (378 d.C.), Graziano (che governava l’Occidente e rimasto unico imperatore) nominò immediatamente il trentenne Teodosio e gli affidò l’Oriente. Questi raggiunse un accordo con i Goti, accettando la realtà di fatto di un loro insediamento sul territorio romano e ottenendo in cambio di avvalersi dell’aiuto militare goto contro gli autori della “rivoluzione pagana” del 392. Ritenere i Goti una risorsa per l'Impero fu l'inizio della fine. La caratterizzazione cristiana dell’impero aveva infatti provocato una vivace reazione del Senato di Roma, legato alle tradizioni ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE – TRIESTE SEZIONE DEL CLUB ALPINO ITALIANO GRUPPO ESCURSIONISMO pagane. I nostalgici raggiunsero un’intesa con un potente generale di origine franca, Arbogaste, e con il nuovo imperatore Flavio Eugenio, vicino ai circoli pagani. Arbogaste divenne l’uomo forte della situazione. Abortito un tentativo di trattativa, nell’estate del 394 Teodosio I mosse da Costantinopoli verso l’Italia alla testa delle proprie truppe. A loro volta Eugenio e Arbogaste mobilitarono le forze e marciarono in direzione dell’Istria. Arbogaste era un ottimo generale e badò bene ad assicurarsi il controllo dei Claustra, elaborando un piano per intrappolare Teodosio tra i valichi alpini. Da parte sua, Teodosio era un comandante altrettanto esperto, e ciascuno dei due eserciti poteva schierare molte migliaia di uomini. Teodosio aveva ricevuto dai Goti un contingente di ventimila uomini con reparti di Alani, che costituivano un corpo di arcieri a cavallo. Da parte sua Arbogaste aveva arruolato soldati soprattutto in Gallia, ottenendo truppe dagli alleati Franchi. Si trattava di eserciti tipici del tardo Impero Romano, caratterizzati da un ruolo significativo degli ausiliari barbari. Ai primi di settembre l’esercito di Teodosio raggiunse Ad Pirum senza incontrare difficoltà. Ma ciò corrispondeva al piano di Arbogaste che aveva occupato Castra ad Frigidum (Aidussina) e sbarrata la Valle del Vipacco. Teodosio era imbottigliato in una situazione critica, non poteva ricevere rifornimenti né rimanere a lungo sulle sue posizioni. Per proseguire, avrebbe dovuto condurrre un attacco contro l’avversario saldamente attestato settecento metri più in basso, lanciando i propri uomini alla disperata giù per i fianchi della montagna. L’alternativa era ripiegare, ma Arbogaste aveva inviato truppe al comando di Arbizione a tagliare la ritirata, occupando la strada alle spalle di Teodosio. Tra le mura di Castrum ad Pirum Teodosio decise di giocare il tutto per tutto. All’alba del 5 settembre l’esercito di Teodosio condusse un attacco diretto su Castra ad Frigidum, calando per un pendio scosceso in uno spazio ristretto. In ogni caso, si trattava di un attacco praticamente suicida, la cui forza d’urto principale fu rappresentata dai ventimila ausiliari Goti. I Goti iniziarono a scendere un dislivello di circa cinquecento metri marciando in linea di colonna lungo i fianchi delle montagne. Non potevano dispiegare le proprie forze, né manovrare, né giovarsi dell’appoggio tattico della cavalleria. Via via che giungevano a valle, le truppe di Arbogaste erano pronte a caricarli ed abbatterli. Le fonti parlano di diecimila caduti nel contingente goto, il 50% della forza. Verso sera Teodosio ordinò di sospendere le operazioni. L’esercito di Arbogaste, contemplando il massacro di Goti, credette di aver vinto la battaglia. Eugenio alimentò gli incauti entusiasmi distribuendo onoreficenze, si festeggiò, ci fu allegria e si perse la concentrazione. Era quanto, verosimilmente, si aspettava Teodosio, che aveva riservato per l’indomani un secondo attacco, quello vero, affidato soprattutto alle truppe regolari romane. La scelta di sacrificare i Goti non era stata casuale; dopo Adrianopoli i Romani subivano la loro alleanza e ridimensionarne la forza non poteva che giovare all’Impero “averli persi fu un gran bene e una vittoria il fatto che fossero vinti”. Inoltre Teodosio aveva segnato un altro punto a proprio favore ottenendo la defezione di Arbizione, l’ufficiale che doveva assalirlo alle spalle, manovra che, dopo il disastroso esito per Teodosio del pomeriggio di battaglia, nelle speranze di Arbogaste sarebbe stata decisiva. Invece l’ufficiale mise le proprie forze a disposizione di Teodosio. All’alba del 6 Teodosio scatenò il secondo attacco: i legionari iniziarono la discesa coperti dalle tenebre e assalirono le linee avversarie. Malgrado l’effetto sorpresa le truppe di Arbogaste erano ancora in grado di organizzare una difesa e tentare di mantenere il vantaggio grazie alla posizione favorevole. La tattica di Teodosio, basata sul secondo attacco a sorpresa, aveva forse già riequilibrato l’iniziale inferiorità; in questa fase improvvisamente si inserì la bora, che soffiò forte alle spalle dei soldati di Teodosio e frontalmente a quelli di Arbogaste, dando più forza ai dardi scagliati dai romani di Teodosio mentre scompaginava le formazioni di Arbogaste e rigettava indietro le loro frecce. Con queste premesse la sconfitta dell’esercito pagano divenne disfatta totale. Alcuni storici rilevano che il fatto della bora fu introdotto dopo la battaglia per dare un contorno divino e fatale alla vittoria ottenuta in effetti con il tradimento di Arbizione. Eugenio, catturato, fu condotto ai piedi di Teodosio e venne decapitato. Arbogaste riuscì a fuggire ma i soldati di Teodosio lo braccarono per due giorni tra i monti e, vistosi perduto, si uccise. Teodosio era padrone di tutto l’Impero Romano. La riunificazione delle due parti dell’Impero Romano durò ben poco, in quanto Teodosio morì soltanto quattro mesi più tardi a Milano. La successione spettò ai figli ancora giovani: Onorio a undici anni l'Occidente e ad Arcadio l'Oriente. Onorio, messo sotto tutela dal risoluto generale Stilicone, nel suo lungo regno si dimostrò inferiore alla gravità dei tempi, debole e irresoluto. La conseguenza più negativa riguardò il rapporto con i Goti. Dopo il pesante tributo di sangue offerto in occasione della battaglia, i Goti alzarono il prezzo della loro alleanza con i Romani. Non incontrando soddisfazione, trovarono in Alarico un capo disposto a guidarli alla rivolta. I Goti si scontrarono più volte con l'esercito romano guidato da Stilicone, assalirono Aquileia, Mantova, Verona ma furono sconfitti a Pollenzo e a Verona ma non in modo definitivo. Stilicone a Fiesole battè un'altra orda di Ostrogoti, Alani e Suebi comandati da Radagasio. La sua popolarità era invisa ad Onorio che temeva per la sua successione e per le mire di Stilicone sull'Oriente, dopo la morte di Arcadio. Onorio con uno stratagemma fece uccidere Stilicone nel 408. Senza il miglior generale l'esercito romano non oppose resistenza ed Alarico attraversò e devastò l'Italia ponendo l'assedio a Roma. Dopo due anni di trattative con il Senato romano e deposto Onorio, che rimase imperatore a Ravenna fino alla morte (nel 423), Alarico con il tradimento riuscì ad entrare a Roma nel 410 e la saccheggiò. Non volle rimanere a Roma, puntò a sud ma una tempesta distrusse la flotta per raggiungere la Sicilia. Morì poco dopo in Basilicata. La Storia dà un cattivo giudizio su Onorio ma, nonostante la debolezza di carattere e di forze, non cedette il comando ad Alarico che avrebbe provocato 50 anni prima la caduta dell'Impero Romano. Regnando 28 anni dette il tempo ai regni romano barbarici di resistere alle più pesanti invasioni degli Unni che nel 452 d.C. distrussero Aquileia. Bellissima la Storia romana, si incontrano re, tribuni, consoli, generali ed imperatori dalle altissime virtù militari, civili , politiche ed umane ed anche i peggiori esempi di gestione della cosa pubblica. Lo studio della Storia romana insegna a capire il mondo presente perché tutto è già accaduto nei 1200 anni della civiltà romana. La travolgente storia del quinto secolo sarà oggetto di una gita ad Aquileia. FONTE: ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE – TRIESTE SEZIONE DEL CLUB ALPINO ITALIANO GRUPPO ESCURSIONISMO
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